Presidio davanti alla DIA - A fianco della resistenza palestinese

Presidio davanti alla DIA - Dal processo contro la resistenza palestinese, contro Anan Alì Mansour, al ruolo attivo della DNAA nel progetto di sterminio sionista

Se guerra e genocidio cominciano da qui

qui sta anche la nostra possibilità di metterci di traverso.

A fianco della resistenza palestinese,

per la libertà di Anan Alì Mansour e di tuttx x prigionierx

in un mondo in guerra, che è una prigione a cielo aperto.

Presidio davanti alla DIA di Torino

Direzione Investigativa Antimafia del cui operato si avvale la DNAA

via Foggia 14

giovedì 25 settembre ore 16

La filiera del Terrore.

Dal processo contro la resistenza palestinese, contro Anan Alì Mansour,

al ruolo attivo della DNAA - Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo -

nel progetto di sterminio sionista.

In questi anni, molti individui e collettività si sono opposti concretamente alla macchina di produzione della guerra e del genocidio. Fabbriche, ferrovie, porti, università, scuole. Come sempre ci siamo ritrovatx di fronte le Forze dell’Ordine a protezione di tutti quei siti dove si progettano, costruiscono, movimentano e promuovono culturalmente le armi tecnologiche che servono a controllare, punire e annientare tutto ciò che è d’intralcio alla normalità del tecno-capitalismo. Una normalità in cui milioni di persone vengono sterminate sotto le bombe, in mezzo al mare o sulle montagne, in un cantiere, un frutteto, una prigione, un campo o “semplicemente” di fame - spesso con la macabra sequenza distruzione/spopolamento e ricostruzione/riordinamento - a Gaza, in Ucraina, nei contesti di impropriamente detta "guerra a bassa intensità", come in Messico.

Una normalità che si regge sul solerte e spesso invisibile lavoro portato avanti dalle forze repressive - magistratura, forze di polizia, servizi segreti, amministrazioni carcerarie - con l’avallo di governo e parlamento. Forze che quotidianamente maneggiano strumenti legali ed illegali per difendere l'ingiusto ordine costituito. E' attraverso uno Stato d'emergenza oggi "infinito" che si giustifica culturalmente e materialmente il controllo sociale automatizzato e tramite Zone Rosse, lo spionaggio della popolazione interna tramite software israeliani (Paragon), l'utilizzo dilagante del dispositivo "terrorismo" - scagliato con particolare zelo contro la resistenza palestinese e il suo sostegno - a queste latitudini in larga parte "d'opinione" -, e i correlati strumenti di tortura, detenzione e 41-bis.

Il processo contro Anan Yaeesh, partigiano anticoloniale palestinese, e due suoi amici, Alì Irar e Mansour Doghmosh, da tempo abitanti in Italia e oggi accusati nel tribunale de l’Aquila di “terrorismo” su mandato di Israele, dimostra la partecipazione dello Stato italiano al progetto di sterminio dei palestinesi. Un'umanità da tempo utile semplicemente per sperimentare sulla sua pelle svariate innovazioni tecnologiche, prodotte anche in Italia, per poi essere eliminata con gli stessi strumenti di sterminio automatizzati per il cui affinamento è stata cavia. Un’umanità che però non è vittima passiva, ma esempio di lotta e resistenza.

Dopo aver ottenuto dallo Stato italiano la protezione umanitaria nel 2019, da gennaio 2024 Anan è imprigionato nella sezione di alta sicurezza del carcere di Terni e processato per 270bis c.p. per il suo sostegno alla resistenza di Tulkarem (Cisgiordania). E’ per arrivare al numero minimo di tre persone con cui si giustifica l’accusa di “associazione con finalità di terrorismo” che la magistratura tira in mezzo Alì e Mansour, pur estranei alla lotta armata. Il PM offre come probatorie le testimonianze ottenute tramite interrogatori dello Shin Bet (servizi segreti) nelle carceri israeliane, dove le persone palestinesi sono soggette alla legge marziale e a sistematiche torture. Anan ne è testimonianza vivente: nel suo corpo ci sono undici proiettili e quaranta schegge, non gli è stata risparmiata la frantumazione di alcun osso. A molte persone è servito il genocidio per rendersi conto degli orrori messi in atto da Israele, ma nei tribunali italiani i partigiani palestinesi restano in ogni caso "terroristi”, rafforzando così l'ideologia sionista volta a farne un nemico da sterminare con qualunque mezzo, senza alcuna inibizione morale.

La richiesta di Anan alla Corte d’Appello e al Procuratore Generale di non consegnare i suoi cellulari nelle mani dello Stato israeliano è stata ignorata, causando l'immediato assassinio per mano dei sionisti di suoi compagni, identificati poichè presenti tra i suoi contatti. E' questo il trattamento riservato agli italiani con doppia cittadinanza che si arruolano nell'IDF, commettono "crimini di guerra" a Gaza e in Cisgiordania e ritornano tranquillamente in Italia a "smaltire lo stress"? O a governo e industriali italiani che armano l’Ucraina?

Anan è oggi torturato non in Israele, ma dentro al carcere di Terni, in regime di 41-bis, su richiesta dalla DNAA. E’ nel 2015 che la Direzione Nazionale Antimafia amplia il proprio campo d’intervento verso l’antiterrorismo. Organismo di coordinamento tra tutte le Procure, essa opera un “amalgama simbolico che produce effetti reali”: “quanti giudici, infatti, sarebbero disposti a rifiutare degli arresti, o a non produrre delle condanne, quando la richiesta arriva da chi combatte il Male assoluto (la mafia)?”. La "guerra alla mafia", come la "guerra alla droga", è una forma di governo morale, la cui logica attraverso il concetto di “terrorismo” tracima in ambiti sempre più indeterminati, stringendo le maglie del controllo sociale. Attraverso la creazione di un ambiente culturale prima ancora che giuridico, la DNAA - che influenza pesantemente il discorso pubblico e giornalistico, il governo e il parlamento, la magistratura - opera una strategia contro-insurrezionale preventiva. L’effetto è la costante costruzione di "emergenze" e di nemici interni/esterni da perseguire, siano essi individui migranti, musulmani, rivoluzionari, comunisti, anarchici o palestinesi.

Per questo ci troviamo in presidio davanti alla DNAA di Torino. Non perchè il caso di Anan, Alì e Mansour sia "eccezionale", nè per il capo d'accusa, nè per la collaborazione tra magistratura italiana e servizi segreti israeliani. L'internazionalismo autoritario come complicità genocidia ha una lunga storia, oggi declinata anche nella normalizzazione culturale dello sterminio attraverso incontri tra le nazionali di calcio italiana e israeliana mentre è in corso un genocidio.

Ci troviamo in presidio perchè questo processo svela ancora una volta il legame tra fronte esterno e fronte interno. L'apparato repressivo dello Stato italiano serve direttamente gli interessi del complesso tecno-militare italo-israeliano: a l'Aquila si difendono interessi sinergici di tipo commerciale, militare, tecnologico e scientifico. E sono le stesse tecnologie progettate e testate anche in Italia per sterminare scientificamente la popolazione in Palestina che si estendono e si normalizzino nelle nostre città contro altri nemici interni.

Al netto della sentenza della corte, che probabilmente si pronuncerà il 30 settembre, l’obiettivo di questo processo è evidentemente quello di criminalizzare, reprimere e delegittimare non solo la resistenza palestinese e chi con essa si sente solidale, ma la stessa esistenza dei palestinesi, che vanno attaccati ed annientati ovunque si trovino. Oggi sono i palestinesi ad essere d'intralcio, domani chi?

Questo processo ha origine in una catena di comando che parte dai servizi segreti israeliani, passa da quelli italiani, dalla Polizia, dalla Digos fino alla procura dell’Aquila, alla DNAA il cui mandato viene operato quotidianamente dall’amministrazione penitenziaria nel regime di 41-bis, dove i detenuti sono sottoposti a isolamento estremo e deprivazione sensoriale. Tasselli della stessa filiera del Terrore.

«Non mi interessano gli obiettivi, distruggete le case, distruggete tutto»: Nethanyahu dispone, la procura dell’Aquila esegue.